Storie di bimbi e genitori speciali che hanno scelto di offrire la loro esperienza a tutti voi.


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Quando sono rimasta incinta di Ettore non me lo aspettavo. Io e mio marito stavamo ristrutturando una casa in centro ed eravamo completamente “distratti”. Mi sono fatta il test dietro l’insistenza di mia sorella, perché ero convinta che il ritardo fosse da attribuire allo stress del trasloco imminente. Il “positivo” mi ha felicemente sorpreso. Ho vissuto questa gravidanza come una specie di dono, visto che avevo già 37 anni e non ero sicura di riuscire a diventare madre.
In passato per varie contingenze, pur amando molto i bambini (il mio mestiere è quello di insegnante), non avevo mai cercato un figlio. Ora che arrivava, inaspettatamente, ne eravamo entrambi entusiasti.
La gravidanza è stata buona fin dall’inizio: nessuna nausea né altri disturbi. L’unico fastidio sono state alcune leggerissime perdite ematiche dopo il quarto mese, di scarsa consistenza, che i vari ginecologi non sono riusciti a spiegare, pur definendole poco significative. Ho affrontato anche l’amniocentesi a causa della mia età, ed è stato il momento di maggior tensione, non per l’esame in sé, rapido e indolore, quanto, prima per i timori di complicazioni o contrazioni uterine (che non ci sono state), poi per l’attesa del responso. Dopo circa 10 giorni ho saputo che stava andando tutto bene: era un maschio, come desideravo.
Il disastro
Il cedimento dell’utero, avvenuto alla 28ma settimana, non è stato preannunciato da alcun segnale. Anzi, una settimana prima c’era stata una visita di controllo del ginecologo con ecografia, e tutto sembrava procedere perfettamente. Accusavo qualche mal di pancia, che appariva di tipo intestinale, disturbo di cui soffro spesso.
Il giorno della catastrofe, il 17 agosto 1998, era stato particolarmente sereno: ero stata al mare (abitiamo a Viareggio), avevo fatto il bagno, ero andata a scrivere al giornale dove collaboro fino alla sera alle 19,30 e mi preparavo ad uscire anche a cena perché mi sentivo particolarmente in forma. Dopo la doccia ho cominciato ad avvertire dolori al basso ventre, sempre più intensi. Dopo poco mi sono accorta della loro regolarità e ho avvertito l’ostetrica in ospedale, che mi ha consigliato una visita di controllo. Dal primo dolore a quando lei mi ha visto non sono passate neppure due ore, ma la situazione era già fuori controllo: il ginecologo ha potuto constatare solo la dilatazione del collo dell’utero e la discesa del sacco amniotico in vagina. Il parto si presentava imminente.
A noi appariva tutto come un incubo: non ci sembrava possibile che nostro figlio dovesse nascere a metà agosto, quando lo attendevamo per la fine di ottobre- primi di novembre. Sono stata trasferita con un’ambulanza a sirene spiegate a Pisa, per garantire una migliore assistenza al bambino, che sarebbe nato gravemente prematuro. Tutta la notte sono rimasta monitorata ma la mattina alle 6 si è deciso per un taglio cesareo, per prevenire la sofferenza neonatale.
Nasce Ettore
Quando Ettore è venuto al mondo, il 18 agosto 1998, pesava 1.250 grammi e presentava un indice di Agpar (dopo la rianimazione) di 6. La cartella clinica diceva: “vivo e vitale”. E’ stato immediatamente ricoverato in terapia intensiva e intubato per il distress respiratorio. Non ci era permesso nessun contatto con il bambino: lo vedevamo soltanto a distanza, attraverso un vetro, e per apprezzarne la fisionomia utilizzavamo un piccolo binocolo da teatro.
E’ cominciata così l’altalena di timori e speranze. I pediatri sono stati chiari: prognosi riservata per un mese, poi si vedrà. Probabilità di sopravvivenza: teoricamente, il 70 per cento, ma “dipende dalle risposte individuali”. Io ho visto il bambino solo diversi giorni dopo la nascita; ero in carrozzina, perché dopo l’intervento avevo avuto notevoli complicazioni: una polmonite che mi impediva di respirare, febbre, infiammazione nella cavità orale. Sono stata ricoverata per 15 giorni durante i quali lo stato fisico precario si assommava alla depressione psicologica. Mi sembrava di condividere con il bambino le difficoltà respiratorie e le accettavo come una specie di “pena” da scontare insieme.
Calvario nell’Unità di terapia intensiva neonatale
Devo confessare che non ho mai pensato seriamente che Ettore ce l’avrebbe fatta, lo speravo ardentemente, questo sì, ma lo vedevo troppo piccolo e indifeso.
Quel respiratore che non gli veniva mai tolto era un altro sintomo preoccupante. Per la verità c’è stato un momento in cui Ettore sembrava migliorato: dopo aver superato un pneumotorace (episodio frequente nei prematuri), i medici hanno provato a staccare il respiratore. Purtroppo dopo poche ore era di nuovo intubato e il nostro morale era precipitato ancora. Il calvario è andato avanti per 21 giorni: ma negli ultimi scampoli di tempo i neonatologi ci avevano disilluso completamente. Ettore è morto il 7 settembre, è stato battezzato in extremis. Mentre lo seppellivamo piangendo, pensavamo di aver perso con lui ogni speranza di diventare genitori.
Riprovarci?
Racconto tutto questo non per rattristare, ma per far capire quanto ci è costato affrontare una nuova gravidanza. Chi ha avuto un prematuro e l’ha perduto sa bene la differenza con un aborto nei primi mesi di gravidanza - evento già luttuoso di per sé. Perché provarci di nuovo è così difficile? Perché, appunto, in certi casi come il mio (e sono numerosi) non essendo stata identificata una precisa causa del parto così anticipato, non si hanno strumenti certi per evitarlo. Dunque, pur con tutte le rassicurazioni mediche possibili, ci vuole una dose di coraggio e di perseveranza, da parte dei genitori, per affrontare una seconda gravidanza dopo un parto prematuro. Anche nel caso che il bambino si sia salvato.
Dopo essermi rimessa fisicamente (se non moralmente) dal cesareo e dalla polmonite, alla fine del 1998 il ginecologo accertò che non c’erano impedimenti fisici per una seconda gravidanza. Consigliò di aspettare sei mesi per consentire all’utero, sottoposto al taglio cesareo, di rimettersi. La prima cosa da considerare è come è avvenuto il parto: un cesareo ne presuppone quasi sempre un altro e quindi è da mettere nel conto anche questo, se si decide di tentare.
A questo punto mio marito ha cominciato a raccogliere informazioni sulle cause del parto prematuro. Nel mio caso c’era stato un cedimento improvviso del collo dell’utero: un’indicazione chiara per il cerchiaggio, subito messo in preventivo.
Sono due!
Quando sono rimasta nuovamente incinta e il ginecologo, a fine gennaio del 2000, mi ha annunciato fin dalla prima ecografia che stavo aspettando due gemelli, mio marito è sbiancato. Non per il numero dei figli (due è un numero ideale), ma per il fatto che la gemellarità è una delle cause di prematurità, insieme a un precedente parto prematuro. Voglio dire che chi ha avuto un parto prematuro, molto spesso tenderà a ripetere la conclusione anticipata della gravidanza. Aggiungete la mia età, non più verdissima: altra possibile causa di parto pretermine. Ero insomma una tipica paziente a rischio.
Le altre cause possibili identificate dalla medicina sono: placenta previa, infezioni batteriche sistemiche acute, batteriuria asintomatica, infezioni cervico-vaginali, basso livello socio-economico, lavoro fisico pesante, stress, uso di alcool e droghe.
Non potendo influire sui precedenti o sull’età, con mio marito e il ginecologo che ci seguiva abbiamo preparato un piano di battaglia per portare avanti il più possibile la gravidanza. L’obiettivo che ci eravamo assegnati era quello di arrivare alle 35 settimane, età gestazionale che garantisce una buona produzione di surfattante, una sostanza che aiuta i bambini a respirare.
Nel raccontare questa seconda esperienza, felicemente conclusasi, premetto che la difficoltà è stata raddoppiata dalla gravidanza gemellare: voglio dire che avremmo senza dubbio adottato precauzioni simili a quelle messe in atto, ma i rischi - aspettando un solo bambino - sarebbero stati inferiori. Insomma, se con due gemelli sono arrivata a 32 settimane e cinque giorni, con un solo bambino si poteva presumere di arrivare più vicino al termine.
Precauzioni
Con mio marito e un ginecologo comprensivo, abbiamo dunque pianificato tutte le precauzioni del caso: frequenti controlli delle infezioni urinarie e della cervice con analisi delle urine, urinocoltura e tamponi vaginali; cerchiaggio alla tredicesima settimana; riposo quasi assoluto dalla 24ma settimana; terapia con vasosuprina e magnesio. Devo aggiungere che purtroppo nei manuali si consiglia, per prevenire infezioni nelle gravidanze a rischio, anche di astenersi dai rapporti sessuali per tutta la durata della gravidanza, consiglio che abbiamo seguito alla lettera. Questo non ha evitato, all’inizio della gestazione, scatenata proprio dalla gravidanza stessa, l’insorgere di una forte candidosi, non pericolosa, curata con una disinfezione radicale dal mio ginecologo.
Il cerchiaggio
Il cerchiaggio è avvenuto in maniera preventiva. Di solito infatti questa tecnica viene usata quando ci si accorge che il collo dell’utero si sta lentamente dilatando, quindi si corre ai ripari quando e se il fenomeno si manifesta. Nel caso di un precedente, si opera il cerchiaggio appunto precocemente, prima che il peso del feto (o dei feti, nel mio caso), possa gravare e creare problemi. Ecco perché si decide di solito di non andare oltre la quindicesima settimana: nel mio caso, con due bambini in arrivo, si è fatto alla tredicesima settimana. L’intervento consiste nel “legare” il collo dell’utero con una “fettuccia” di materiale chirurgico, come se si chiudesse un palloncino o un sacco. Purtroppo il cerchiaggio avviene in anestesia totale, anche se leggera, vista la brevissima durata dell’intervento. Non ci sono fastidi né controindicazioni, l’unica possibilità è che l’utero, così stimolato, possa contrarsi. Per questo, almeno nell’ospedale dove sono stata operata, si applica una flebo costante di vasosuprina in vena, sia prima che dopo l’intervento.
La degenza è breve, il tempo di controllare che non si manifestino contrazioni.
Nel mio caso personale (non da prendere come norma, si tratta solo di una sfortuna ricorrente) sembra che io sia abbonata alle complicazioni post-operatorie. Dopo la polmonite insorta in seguito al cesareo per Ettore, ecco un terribile spavento dopo il cerchiaggio: quando, al risveglio dall’anestesia, mi hanno reinserito la flebo con la vasosuprina, per un errore dell’anestesista mi è ritornata in circolo una sostanza paralizzante, senza che avessi più il respiratore. Morale: senso di soffocamento, cianosi, perdita di conoscenza e gran daffare per i medici che mi hanno soccorso; fortunatamente il tutto è durato pochi minuti e non ci sono state conseguenze né per me né per i feti. Sul momento ho pensato ad una reazione allergica all’anestetico, ma approfondendo con il primario di anestesia sono arrivata a capire che si era trattato del cosiddetto “errore umano”, per fortuna riparabile. Un problema invece che può presentarsi a tutte, e che io non ho scampato, è quello del mal di testa: la vasosuprina è un vasodilatatore, appunto, e la dose in pillole dà pochi effetti collaterali, iniettata continuamente in vena può provocare un forte mal di testa, che si sopporta per amore, come tutto il resto.
Problemi psicologici
Comunque dopo il cerchiaggio tutto bene, e le settimane si sono accavallate fra un controllo e un’analisi. Verificata la mancanza di infezioni, si sono diradate le visite ginecologiche: il medico preferiva seguire la crescita dei feti con l’ecografia, perché pensava che anche la visita interna potesse modificare una situazione di equilibrio, e noi eravamo perfettamente d’accordo.
Il momento più critico, dal punto di vista psicologico, è stato quando è cominciato il riposo assoluto: eravamo in piena estate a Viareggio, e rimanere tutto il giorno e la sera tra il letto e la poltrona era piuttosto stressante. In più si avvicinava il periodo più a rischio: intravedendosi la ventottesima settimana, data del precedente disastro, aumentava la paura. Questo l’effetto psicologico che è da mettere in conto: nel nostro caso era aumentato dalla quasi perfetta coincidenza temporale. Rispetto alla precedente gravidanza, eravamo avanti di circa tre settimane. Purtroppo siamo fatti così: non c’è nessun motivo razionale perché un evento negativo debba ripetersi nello stesso giorno e ora, ma il pensiero è naturale. Chi ha avuto un parto prematuro quindi si prepari a vivere con una certa ansia l’avvicinarsi della settimana cruciale dell’esperienza precedente. Noi eravamo confortati dalla considerazione di aver ben prevenuto ogni possibile guaio.
Ecco Vittorio e Giovanni
Passato il momento fatidico, ci siamo rasserenati e quando abbiamo raggiunto la soglia delle 31 settimane, ci siamo sentiti quasi a cavallo. Naturalmente, trattandosi appunto di gravidanza gemellare, a quell’epoca la pancia era già enorme: praticamente più imponente di quella di una gestante di nove mesi. Di conseguenza tutto l’apparato era sottoposto ad uno sforzo maggiore. Per questo io non mi illudevo di andare molto oltre la 32ma settimana, anche se la speranza c’era. Ero comunque preparata all’evento, pure materialmente (la borsa per l’ospedale questa volta era pronta). Senza alcun segnale, alle 8 del mattino del 29 agosto 2000 (32 settimane e 5 giorni di gestazione), mi si sono rotte le acque. Abbiamo chiamato l’ambulanza e pochi minuti dopo eravamo in ospedale. Dalla visita si è visto che un sacco amniotico era rotto, l’altro ancora integro. Ma neanche due ore dopo avevo già i dolori ritmici. Il ginecologo ha pensato che non servisse traccheggiare e alle 11,20, con parto cesareo, è nato Vittorio, seguito due minuti dopo da Giovanni.
Questa volta il cesareo (durante il quale è stata eliminata la legatura del collo dell’utero) è stato fatto meglio, e il primario - per compensarmi dell’incidente occorso al cerchiaggio - mi ha mandato il migliore anestesista dell’ospedale. Non ho avuto la minima nausea e mi sono presto ristabilita. L’unica cosa è che una nuova ferita alla pancia su quella di due anni prima mi ha provocato dolori per diversi giorni. Per correttezza devo aggiungere che il cerchiaggio ha tenuto chiuso il collo dell’utero: è stato la rottura del sacco amniotico a provocare il parto, non la dilatazione della cervice.
Vittorio al momento della nascita pesava 1640 grammi, Giovanni 2020. Non sono stati intubati, e se possibile il più piccolo si è manifestato ancora più vivace del fratello. Sono stati in neonatologia 35 giorni, durante i quali però i progressi erano evidenti e non sono emerse patologie di rilievo o complicazioni: sono rimasti lì soltanto a “fare il peso”.
Il follow up (le visite periodiche che seguono la crescita) si è svolto senza segnalare problemi fino a 14 mesi, poi non è stato più considerato necessario dai pediatri.

Per concludere, si desume dalla storia stessa, la morale è quella annunciata. La tenacia, il coraggio, il desiderio di un figlio sono essenziali per affrontare una seconda gravidanza dopo un parto prematuro.
Ciao, Chiara